venerdì 29 aprile 2011

urlo

perché basta così poco per incendiarsi.
perdere il controllo.
non comandare le proprie parole, i propri gesti.
è questa l'ira?
o è follia.
perché allora sono incazzata.
o sono folle.
perché l'amore che provi per qualcuno è così bastardo da mandarti fuori e non ragionare.
sono stanca di lottare contro i mulini a vento e non vedere i risultati.
fare un passo avanti e riessere trascinati giù nel pozzo più nero solo per un impercettibile movimento facciale.
sono stanca di vedere chi mi ha creato annullarsi di propria volontà.
io non ce la faccio più.
essere cieco e ottuso ed egoista.
trincerarsi dietro il fantasma della depressione per far accettare ogni comportamento distruttivo.
verso di se e verso gli altri. e gli altri sono i figli. i tuoi figli.
essere egoisti a tal punto da rifiutarti di vedere il bello che c'è intorno a te.
è possibile.
forse si. ma io non lo capisco.
non lo posso più capire dopo anni e anni e anni e anni di lotta. di comprensione. di terapie e letture. di confronto con chi mi conosce e sa come sono.
per farmi guardare anche da un altro punto di vista. non il mio.
non quello di figlia.
mi sento una vittama?
si.
a volte lo penso.
io sono la sua vittima. e lui è il mio carnefice.
mi succhia il cervello. la logica la mia stabilità.
e glielo permetto. in continuazione.
credendo di riuscire a dominare gli eventi di essere più lucida di tutto.
di essere sopra alle parti.
cretina.
stupida egocentrica.
forse sono come lui.
forse mi basterebbe guardarmi allo specchio e chissà...riconoscermi....

lunedì 25 aprile 2011

i bilanci hanno un senso?


mi chiedo spesso ultimamente se si può fare un bilancio della propria vita. oddio. detta così suona un po' strano, d'altro canto ho solo 35 anni. 
caspita sono già trentacinque!!!!
Cosa dovrei essere? Adulta. si, quello si. Anagraficamente parlando.. e per le scelte che si fanno. Insomma, agire sempre d’impulso è un lusso che da anni non posso più permettermi. E’ molto difficile sapere in quale fase della vita ci si trovi.

A me non è mai capitato di saperlo veramente. 
Di sapere con esattezza o, almeno con un’approssimazione accettabile, che strada stava prendendo la mia vita. La certezza che più sento mia, e qui potrebbe aprirsi una voragine di commenti e precisazioni, è quella di non essermi mai sentita ferma.

Ho sempre avuto la sensazione, sin da ragazza, da adolescente e credo da molto prima, di non appartenere al luogo nella mia esistenza. Mi sono sempre sentita estranea, fuori luogo, fuori tempo. Ma non è la sensazione di timidezza o di difficoltà d’inserimento, è sempre stato qualcosa di più radicato, di più profondo.

La sensazione, che ancora oggi mi sento addosso è quella di vivere, guardare, pensare, sentire, ascoltare, camminare,attraverso luoghi e situazioni che osservo solo dall'alto. Non con distacco. Il distacco è un sentimento che non mi appartiene. Ma l’osservazione sistematica e la cercata comprensione di tutto quello che mi circonda è qualcosa che si può avvicinare al vero.

Anche il mio respiro non mi permette di rallentare, di fermarmi. Se devo pensare a qualcosa di bello, a qualcosa di mio, penso all’altrove. Quello che è altro da me. Un luogo, o un non luogo, dell’anima dove potersi fermare e respirare. Un luogo dove la mente è costantemente sollecitata ad immagazzinare emozioni nuove, dove gli occhi non si possono fermare davanti all’immensità di tutto quello che incontrano.

Mi è sempre piaciuto partire, viaggiare. Le partenze sono sempre state per me un preludio di tutto. Il viaggio inteso come allontanamento dalla vita quotidiana, dalla routine. Ho sempre amato le stazioni ferroviarie. Il loro disordine, la loro fretta. Tutti i luoghi di partenza, di passaggio sono oasi di continua meraviglia per me.

Sin da piccola gli autogrill, durante le soste in macchina con la mia famiglia, hanno esercitato su di me un felice stupore, un'eccitazione epidermica. Mi piaceva scendere dalla macchina, un po’ assonnata e indolenzita e andare incontro a facce nuove, diverse. Odori, sguardi, parole catturate all’interno di frasi senza senso che mi portavano in posti sconosciuti.

Mi è sempre piaciuta quella sensazione di estraneamento che si prova in questi posti. Io mi sento bene in mezzo a persone sconosciute con le quali non ho nessun legame e per le quali sono totalmente estranea.

venerdì 22 aprile 2011

Non so perché si smette di scrivere.
O meglio, non so perché ho smesso di scrivere.
Ma so perché stasera mi è venuta voglia di rimettermi con le dita a schiacciare sui tasti bianchi del mio pc. Prima preferivo la penna. Il foglio bianco.
Un fatto indiscutibile: riesco a scrivere quando sono sola.
La condizione ideale sarebbe con una delle mie musiche da sottofondo. 
I Massive Attack con i mille adolescenziali ricordi, o la calda voce di Eddie Vedder e le splendide parole di Society. La profondità dell’attesa del violoncello di Yo Yo Ma e i ricordi di un bellissimo concerto.
Un pianoforte con i notturni di Chopin o una new yorkesissima ballata jazz… che unisce il tutto: una dolcissima melanconia.
Eh si, che melensa verità femminile. Scrivo quando sono malinconica.
Che Giovanni non c’è credo sia sottinteso.
Dovrei sgridarmi perché in realtà mai, come negli ultimi due anni, nella mia mente non smettono di vorticare pensieri e suggezioni. Emozioni nuove, stralci di vita…la vita…

Da sola dovrebbe bastare a riempire intere enciclopedie ma a volte mi dimentico di quanto è perfetta. Con tutti i suoi casini, i suoi incontri e i suoi disastri. C’è il rimettersi in gioco, il coraggio la follia. E poi c’è il colore del mare e la luce del cielo… stasera il vento… con un odore speciale. Le prime goccioline estive, il sapore dell’umidità. Davvero bello.

In questi giorni mi chiedevo perché mi viene da scrivere quando non posso.
Mentre sto correndo, per esempio. E io corro di rado, molto di rado.

O quando sono in mezzo a un sacco di gente. E non è carino appartarsi con carta e penna e dire scusate mi è venuta in mente una cosa.
E i libri. Ah…i libri…che meravigliosi orgasmi mentali.

E poi articoli di giornale che ti fanno dire: esatto! È proprio quello che volevo dire. Così, come lo hai scritto tu. E il tu in questione è il giornalista che firma l’articolo ovviamente.
Si certo ho scritto qua e la, in questi due anni. In giro. Su fogli bianchi. Dietro a fogli riciclati. Sul pc di Giovanni. Nella quarta di copertina di alcuni libri… vorrei ricopiarli. Dargli un ordine, è che poi mi dimentico. Non so dove li ho lasciati. Forse lo faccio apposta.
E avevo anche iniziato un blog!!!!
O più semplicemente è solo questione di pigrizia.
E se fosse paura?
E se in realtà mi trovo scuse per non leggere mediocrità? Le mie mediocrità.
Perché in effetti ci sta. Amo talmente tanto la scrittura e i pensieri ordinati. Le parole che scorrono una dietro l’altra che forse, trovarle, rileggerle, bleeee …. le troverei noiose, banali. Perché parliamoci chiaro: a nessuno piace essere banali.
Ecco ho divagato. E lo spunto per accendere di venerdì notte il pc è stato solo uno.

Un piccolo insignificante grande gesto. Sicuramente una gocciolina d’acqua…che scorrerà nelle strade…che si mischierà nel mare… ma che mi ha tolto il sonno.
Buona notte.